Nel corso dei secoli, il latte prodotto veniva in minima parte bevuto, mentre la restante veniva utilizzato per trasformarlo in formaggio, ricotta e burro, quindi prodotti che potevano essere conservati e commerciati con una maggiore facilità. Dai procedimenti lavorativi per ottenere tali prodotti restavano il siero di latte (in pratica il residuo del procedimento di coagulazione della caseina) e il latticello, cioè latte di burro, un prodotto secondario derivante dalla trasformazione della panna in burro.
Nell’antichità, tali elementi residuali potevano essere utilizzati in qualche caso in cucina o per fare medicamenti. Per quanto riguarda il siero di latte, ad esempio, lo stesso Ippocrate lo consigliava per trattare infezioni, per guarire alcune ferite e per le malattie dello stomaco. Successivamente, i risultati di tali utilizzi sono stati attribuiti, in pratica, all’acido lattico. Un altro uso del siero di latte era destinato a trattare alcune sofferenze delle articolazioni, quali ad esempio cadute o traumi.
Al giorno d’oggi, i vari costituenti del siero sono considerati integratori proteici dietetici ed evidenziano una considerevole attività antimicrobica e aiutano a prevenire alcune malattie cardiovascolari e l’osteoporosi, a cui si aggiungono i benefici antitumorali, antivirali, antibatterici e antiossidanti che offrono alcune componenti di questo genere di siero. Di conseguenza, questo prodotto “secondario” presenta vari aspetti positivi per la salute delle persone.
Il ridotto utilizzo di siero del latte
Sebbene offra tutti questi benefici, il siero del latte non viene utilizzato e sfruttato in maniera adeguata. La produzione a livello mondiale annualmente si aggira tra i 180 e i 190 milioni di tonnellate, di cui la quota dell’Unione Europea è di 40 milioni di tonnellate. Da queste si estrae del lattosio, tuttavia ne restano inutilizzati circa 13 milioni di tonnellate, con conseguenti problemi economici ed ambientali. Nel nostro Paese, dalla produzione complessiva dei formaggi derivano 9 milioni di tonnellate di siero di latte.
Riuscire a recuperare, almeno in parte, tale quantitativo aiuterebbe l’ambiente, ma pure l’economia. D’altronde, il siero del latte contiene componenti essenziali per l’organismo umano e la salute di esso, tra cui il 20% di proteine complessive contenute nel latte intero ed una grande quantità di minerali, vitamine e lattosio. Il siero del latte, quindi, si potrebbe valorizzare ulteriormente, non più limitandosi alla sua trasformazione in polvere, ma usando tecnologie che consentano il recupero di componenti importanti di esso.
L’importanza del siero come risorsa in tanti settori
Tutto questo, fortunatamente, al giorno d’oggi è possibile attraverso l’uso di tecnologie cosiddette “pulite”, come ad esempio l’ultrafiltrazione, la separazione, l’osmosi inversa, la demineralizzazione ed essiccazione, la dialisi e pervaporazione. I risultati raggiunti e quindi le sostanze ottenute sono utili per le aziende alimentari ed in particolare per migliorare e innovare creme, salse e yogurt, oltre che prodotti da forno, bevande ed insaccati. Importanti usi ve ne sono anche per le industrie cosmetiche e farmaceutiche.
Incoraggianti prospettive vi sono anche dai processi di fermentazione, da cui si possono ottenere batteriocine, proteine e biopolimeri. Questi ultimi, definiti anche bioplastiche, sono polimeri prodotti a seguito di procedimenti di natura biologica, che forniscono al prodotto finale un notevole livello di biodegradabilità. In effetti, questi aspetti sono noti da tempo, grazie alla realizzazione di alcuni materiali particolari già nel secolo scorso e riscoperti successivamente negli anni 2000.
Tutto questo ha una valenza importante, in quanto dal siero del latte è possibile ottenere dei biopolimeri “intelligenti” o anche attivi, che vengono usati per conservare e proteggere diversi alimenti. Tali biopolimeri presentano uno strato barriera ed uno attivo. Il primo è realizzato dalle fermentazioni microbiologiche e tramutano il lattosio e gli acidi del siero del latte in proteine. Il secondo, lo strato attivo, invece presenta antiossidanti e antimicrobici, che consentono di prolungare la vita degli alimenti, in modo naturale.
Pertanto, alla fine, tali bioplastiche, utilizzandosi come una comune pellicola protettiva, da un lato allungano la vita di tantissimi prodotti alimentari, mentre, dall’altro, limitano e riducono gli sprechi alimentari, oltre che la produzione di rifiuti di plastica. Tutto ciò fa bene alle persone e all’ambiente in cui viviamo, ottimizzando inoltre anche i consumi alimentari. Un grande beneficio per tutti, sotto tanti aspetti.