L’emergenza sanitaria generata dal coronavirus ha avuto ripercussioni notevoli su tutti i settori dell’economia e della socialità. I danni economici si sono verificati anche nei settori che apparentemente hanno sofferto di meno, come l’agro-alimentare e nello specifico il comparto lattiero-caseario. Una conseguenza è stata la riduzione dei prezzi all’ingrosso del latte e derivati: -6% secondo i dati ISMEA. Se da una parte le vendite dei prodotti caseari freschi e stagionati sono aumentate, dall’altro le perdite economiche nette sono incrementate perché non compensate dai consumi e dalle vendite in bar e ristoranti.
Perché si è verificata una sofferenza del settore?
La “vittima” eccellente degli effetti del coronavirus dell’intero comparto caseario è il latte fresco – già in difficoltà con -2,5% di consumi – che ha subito il “sorpasso” del latte a lunga conservazione (con un balzo del 12,4%). Il dato positivo degli altri prodotti caseari, tuttavia, non compensa le perdite perché non sono state computate le forniture di pasticcerie, bar, gelaterie, ristoranti e hotel, ovvero il settore comprensivo dell’accoglienza, ristorazione e del catering che viene identificato dall’acronimo HoRECa. Così come il latte fresco ha subito un calo di consumi, anche i prodotti freschi e deperibili come i formaggi freschi e i latticini hanno registrato perdite rispetto ai prodotti stagionati: a fronte di un +3,8% di aumento delle vendite dei formaggi a pasta molle, c’è il balzo in avanti per i prodotti a lunga conservazione e industriali (+9,5%). E ancora una volta, il dato non compensa i consumi che normalmente si realizzano “fuori casa” e che costituiscono il 30% del fatturato complessivo per il comparto.
La chiusura degli esercizi commerciali e dei luoghi di ristorazione unito all’isolamento domestico ha avuto un notevole impatto sulla filiera Horeca e sull’agro-alimentare in genere, incluse le perdite dell’export pressocché azzerato.
Conseguenza diretta è l’ “abbondanza” di prodotti sul mercato che non potendo essere smaltiti all’estero e non riuscendo ad essere “assorbiti” dal mercato interno induce a un calo dei prezzi all’ingrosso (una media del – 6%), inclusi i prodotti di punta come il Grana Padano (7 € al Kg IVA esclusa, pari a -11% su base annua) e il Parmigiano Reggiano (8,8 € al KG IVA esclusa, pari a – 20% rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente).
Se le quotazioni all’ingrosso calano, l’effetto cascata si ripercuote sui guadagni degli allevatori che – durante la pandemia – hanno guadagnato circa 37 € ogni 100 litri (IVA esclusa e senza premi. Dati ISMEA) che corrispondono a quasi 3 € ogni 100 litri in meno su base annua. È come se i prezzi fossero tornati ai valori del 2017. Il picco di criticità si è raggiunto nei mesi primaverili del 2020 quando la produzione di latte è massima: con la distribuzione ridotta pur di smaltire il prodotto, i prezzi all’ingrosso hanno continuato a scendere anche sotto i 30 € per 100 litri.
I dati dell’export
Sul piano delle esportazioni, le cose non sono andate meglio. Dopo una performance incoraggiante e profittevole nel 2019 quando si sono registrati livelli di guadagno record per tutto l’agro-alimentare italiano (3,1 miliardi di € pari al + 11,2% rispetto al 2018), nonostante i dazi statunitensi, il 2020 non ha mantenuto le stesse premesse. Oltre alla pandemia, il dato sulle esportazioni è stato influenzato dalle difficoltà logistiche, dal protrarsi delle chiusure del settore horeca anche all’estero e da una diminuzione dei mercati destinatari dei prodotti Made in Italy di alta gamma. Le perdite dell’export sono stimate per un valore equivalente a 400 milioni di € di fatturato in meno, nei soli mesi di marzo e aprile.
Un ulteriore colpo alla filiera – indipendentemente dal COV SARS2 – è, infine, la decisione dell’Unione Europea di applicare le linee guida della Farm To Fork a favore del Green Deal, ovvero la promozione del consumo di prodotti di originale vegetale rispetto a quelli animali: una strategia in palese contraddizione con le politiche sempre europee che favoriscono una dieta completa ed equilibrata, comprensiva di un consumo regolare e benefico per la salute composto da latte, formaggi, yogurt e burro nelle giuste quantità. Altrettanto contradditoria è la modifica sull’etichettatura di origine che genera confusione e mancanza di trasparenza, in base alla quale vi sono obblighi specifici per alcuni prodotti a discapito di altri.